Karate-do Kurofune

Karate-do Kurofune

SETTIMA PARTE
CW:  Patrick, stai pianificando altro?
PM:  Sì, sto lavorando a progetti che riguardano due nuovi libri, uno verrà pubblicato da Charles E. Tuttle, l’altro mi è stato chiesto da Terry O’Neil di FAI (Fighting Arts International, N.d.T.).
Il primo presenta una collezione estensiva di fotografie dei primi maestri, pionieri del karate-do (molte delle quali non sono state mai pubblicate in precedenza), accompagnate dalle relative biografie. L’altro è l’opera che amo di più: “Legend of the Fist” (lett. Leggenda del Pugno). “Legend” contiene un’analisi approfondita del karate-do, della sua storia, filosofia e applicazioni. Descrive anche i valori non utilitaristici dell’arte, il viaggio interiore e quel che va oltre i risultati immediati dell’allenamento fisico. Sono davvero eccitato da questo progetto ma non ho la minima idea di quando riuscirò a completarlo.
A seguito del diffuso interesse verso Okinawa dimostrato da molti stranieri negli ultimi anni, avevo anche pianificato, con il permesso di Uechi Kanei (defunto maestro di Uechiryu Karate-do), di tradurre e pubblicare le biografie che si trovano nel suo enorme libro “Okinawan Karate-do”.
Ritenevo che le biografie dei maestri più importanti di Okinawa costituissero materiale per un’ottima lettura dato che includevano una breve storia dei maestri, dei loro stili e organizzazioni e dei kata che praticavano. Il libro includeva anche gli indirizzi ed i numeri di telefono dei maestri, per quanto sicuramente alcuni di loro potevano essersi trasferiti o erano deceduti dalla data di pubblicazione di quel libro. Ad ogni modo sentivo che sarebbe stato materiale molto interessante. Quel che non avevo pianificato però è che qualcun altro stesse scrivendo un libro che conteneva più o meno le stesse informazioni.
Recentemente ho ricevuto da Graham Noble una copia di un libro appena pubblicato dedicato ai maestri, agli stili e alle tecniche “segrete” del Karate di Okinawa e ho scoperto che l’autore aveva già pubblicato, praticamente parola per parola, quel che si trova nelle biografie del libro del maestro Uechi. Per questo motivo ho lasciato perdere, penso che due traduzioni dello stesso lavoro non siano necessarie. Tuttavia potrei occuparmi di qualcosa di simile con diversi risvolti in futuro, in fondo c’è sempre più di un modo per raccontare una storia.
Sto anche valutando la pubblicazione di una raccolta di testimonianze controverse riguardo quel che Motobu Choki (1871-1944), Gima Shinken, Konishi Yasuhiro, Yamada Tatsuo e altri pensavano di Funakoshi Gichin.
Queste testimonianze, pubblicate inizialmente in giapponese, sono state ignorate per lungo tempo ma oggi i praticanti sono assetati di informazioni. Ritengo che qualora decidessi di pubblicare queste testimonianze provocherei più di qualche piccola controversia. Sono stato avvisato e mi è stato detto di non pubblicarle ma non mi piace che qualcuno mi dica cosa devo o non devo fare.

CW: Patrick, so che attualmente viaggi molto fuori dal Giappone per condurre seminari per le organizzazioni ortodosse di karate. Ho recentemente saputo del tuo viaggio in Australia, potresti parlarmene?
PM: Sì, mi fa piacere. L’anno scorso sono stato invitato in Australia per condividere alcune delle informazioni e delle tecniche oggetto delle mie ricerche degli ultimi anni. Ho incontrato persone splendide ed è stata davvero un’esperienza gratificante. Gli australiani sono un popolo molto caloroso, molto simili agli europei e ai canadesi.
Da alcuni anni non uscivo dal Giappone e volevo essere certo di essere ben preparato. So che agli stranieri piace fare un sacco di domande, al contrario di quel che accade con gli allievi giapponesi che praticamente non ne fanno mai. Per questo motivo ho passato alcuni mesi a preparare le mie lezioni per poterle presentare in modo simile a quanto feci ai “Seminari della cultura delle Arti Marziali” tenuti negli ultimi sei anni qui in Giappone, all’International Budo University (sponsorizzati dalla Fondazione Budokan in collaborazione con il Ministero dell’Educazione). Con mia sorpresa questa fase preparatoria ha portato ad un discorso di oltre ventimila parole sul karate-do, la sua storia, filosofia e applicazione.
Sebbene avessi passato quasi tre mesi a preparare meticolosamente le bozze di questo discorso, mi sentivo un po’ nervoso quando arrivò il momento di presentarlo, nonostante Yuriko (l’amata moglie di Patrick) mi ricordasse spesso che non tutti sono così ansiosi di ascoltare gli elementi metafisici del Karate-do, per quanto possano essere essenziali. Essendo giapponese, suppongo che sapesse meglio di molti altri che l’interesse deriva dall’attrazione piuttosto che dalla promozione e che in questo modo le persone assimilano la conoscenza con maggior entusiasmo, mantenendo le informazioni per lungo tempo ed esercitando un profondo impatto sulla loro comprensione del Karate-do.
Ad ogni modo quanto più si avvicinava il momento, tanto più cresceva in me il timore di annoiare tutti a morte. Mentre tenevo la mia conferenza sono certo di aver visto qualche palpebra pesante ma alla fine mi sono reso conto di quanta gente fosse davvero interessata agli elementi non utilitaristici del karate-do.
In quell’occasione ho anche insegnato i kata riportati nel Bubishi e le relative applicazioni, oltre al kobudo di Okinawa. Ora sono ancor più interessato a viaggiare in altre nazioni straniere per trasmettere tutto quello che ho imparato dalle mie ricerche pluriennali. Alla conferenza australiana avevo dato il titolo “Oltre l’allenamento fisico” e mi ero concentrato sia sui valori fisici che metafisici del karate-do, su come scoprire quel che si trova oltre il risultato immediato dell’allenamento fisico e come tutto ciò possa contribuire al miglioramento di ogni aspetto della nostra vita.

Ebbi un tale successo che mi chiesero di pubblicare l’intera conferenza. Così decisi che avrei aggiunto più informazioni storiche, in particolare riguardo ai kata, alle relative applicazioni difensive, ai precetti originari stabiliti per controllare il comportamento delle persone che ne comprendono i segreti e a come tutti questi aspetti possano servire come importante veicolo di introspezione. Mi aspetto che “Oltre l’allenamento fisico” possa essere disponibile verso la fine di quest’anno.

Shuhari
CW: A proposito di andare oltre l’allenamento fisico e ai vari precetti, mi sono sempre chiesto il reale significato dei principi Shu Ha Ri e di come si applichino al karate-do. Puoi definire lo shuhari?
PM: Sì, certo. Lo shuhari, elemento la cui comprensione è richiesta nel Butokukai per ottenere lo yudansha, può essere descritto come sintesi delle tre fasi di transizione dal principiante al maestro. Con il sensei (insegnante ma con il significato letterale di colui che è arrivato prima) ed i senpai (allievi più anziani) come modelli, lo shugyo (austero condizionamento) forgia un corpo d’acciaio mentre uno spirito indomito migliora il dialogo interiore e rafforza il carattere.
SHU” significa letteralmente proteggere o mantenere e rappresenta l’apprendimento dalla tradizione. In questo modo la catena della tradizione è perpetuata e trasmessa. Questo stadio iniziale dell’allenamento è un gradino indispensabile sulla scala infinita di crescita e sviluppo nel karate-do. Non ci sono limiti di tempo per ognuno dei tre stadi e la transizione da un livello al successivo non è semplice né immediata. Piuttosto i livelli tendono a sovrapporsi nella fase di transizione, il che permette un progressivo ritiro da un livello ed un ingresso graduale nel successivo.
Secondariamente il condizionamento porta oltre i legami dell’allenamento fisico e allontana dalla tirannia delle delusioni terrene, dalla preoccupazione del materialismo e dalle altre distrazioni legate all’ego.
HA” significa letteralmente “staccarsi” e si riferisce al liberarsi dalle catene della tradizione. Tuttavia tale termine, spesso frainteso, non significa separarsi da ciò che ci ha dato forza. Piuttosto “HA” rappresenta una fase di transizione dalla quale si emerge rafforzati dal potere dell’introspezione. Descritta come l’esplorazione del mondo interiore, i kata e la protratta introspezione diventano punto focale attraverso il quale si prende piena consapevolezza del potere supremo della mente. Avendo un profondo impatto su ogni aspetto della vita e sulla comprensione del karate-do, l’allenamento quotidiano e la vita stessa apportano sempre nuovi significati di mano in mano che si continua il viaggio verso la maestria.
RI” è lo stadio finale della transizione e significa letteralmente andare oltre o trascendere. Questo è quello che viene comunemente definito illuminazione o emancipazione spirituale, ma è probabilmente meglio descritto come realizzazione.
Proseguendo nel viaggio attraverso il mondo interiore, si viene assorbiti nell’abisso così tanto che i bagliori intermittenti di conoscenza penetrante diventano sempre più frequenti quanto si emerge rinati. Quelli che falliscono nel perseguire questo viaggio interiore rimangono per sempre estranei alla vera essenza del karate-do e del loro sé.
In breve questa è la dottrina dello “shuhari” che, nello Zen, viene spesso definita come chiusura del cerchio o raggiungimento dello stato primordiale. Sebbene il suo simbolo sia un cerchio vuoto, esso non è vuoto di significato per coloro che stanno all’interno. È pieno di vita, pace, felicità e realizzazione. Il precetto shuhari non conosce tempo né barriere.
Ci sono molti sentieri che portano alla cima della montagna ma una sola luna che potrà essere ammirata da coloro che ne raggiungeranno la sommità. Thomas Stearns Eliot scrisse in Quattro quartetti: “Non smetteremo di esplorare e alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta.”

CW: Hai accennato alla possibilità di trasferirti in Australia in futuro, puoi dirmi qualcosa di più?
PM: Certo, c’è molto interesse nell’istituire un programma di studio parauniversitario per l’ottenimento di un diploma di Insegnante di Arti Marziali e mi è stato chiesto di scriverne il programma e di dirigerlo. Sono stato decisamente tentato quando ho saputo dell’offerta e, dopo essermi accertato della serietà dell’impiego, ne ho discusso con mia moglie, Yuriko, e i miei due figli [Taylor e Bianca] ed insieme abbiamo deciso che avrei accettato il posto. Non riesco a pensare ad un modo migliore per promuovere la formazione di una generazione di istruttori qualificati che permettere loro di intraprendere uno studio approfondito dei principi storici, fisici e metafisici che stanno alla base del karate-do. Le ramificazioni sociali sono incalcolabili.
Noi tutti sappiamo quello che un corpo in salute e uno stile di vita sano possono fare per ogni individuo ma ancora devono essere pienamente misurati e compresi i benefici non utilitaristici apportati dalla pratica del karate-do. Sono fermamente convinto che quando il mondo occidentale scoprirà come utilizzare il karate-do come veicolo personale per il miglioramento della vita, la sua pratica acquisirà un nuovo significato. Inoltre mi piace l’Australia, le bellezze naturali, gli ampi spazi aperti e le persone amichevoli.

CW: Bene, questa è sicuramente una grande notizia e ti faccio i miei migliori auguri di buona fortuna. Spero ci terrai aggiornati sugli sviluppi. Patrick, puoi spiegarci lo scopo del kata sanchin e aiutarci a risolvere il mistero che si cela dietro i termini Shoreiryu e Shorinryu?
PM: Ci provo. Per prima cosa devi sapere che le radici del saamchien (come viene chiamato in Cina) si fanno risalire ai taoisti dell’antica Cina. Non sopportando lo sfruttamento della loro società, i taoisti divennero eremiti delle montagne per vivere in armonia con la natura. Concepita per costruire, mantenere e rilasciare l’energia interna (qi), la forma saamchien enfatizza il regolamento del flusso di aria e la sincronizza con l’espansione e la contrazione dell’azione muscolare, donando beneficio al nostro corpo sia internamente che esternamente. Parlando dei principi dell’energia qi, il maestro della gru bianca del Fujian, Lin Guozhong, descrisse, nel libro di Robert W. Smith “Boxe Cinese: maestri e metodi”, l’importanza dell’inspirazione (deglutire), espirazione (sputare), trattenere il respiro dopo l’inspirazione (galleggiare) e dopo l’espirazione (affondare).
Il maestro Wu Bin, dell’Istituto di Ricerca sul Wushu cinese, descrisse esercizi quali il saamchien come vitali nella mobilizzazione della circolazione interna per guidare l’energia in tutte le estremità al fine di condensare le forze esterne ed interne.
In breve il saamchien insegna a sommare le forze di tutte le articolazioni, a condensare tutta l’energia in un solo istante e a rilasciare una grande quantità di potenza. È anche un modo di mantenere il corpo elettricamente carico e fisicamente tonico. Quando eseguito correttamente il saamchien non sovraccarica i muscoli né causa ernie (come purtroppo spesso accade a chi lo esegue in modo errato), ma piuttosto massaggia gli organi interni e rinvigorisce il corpo.
Come esercizio terapeutico che utilizza tecniche di respirazione diaframmatica – in modo del tutto simile a quanto accade nell’hatha yoga – il saamchien venne praticato dagli antichi taoisti cinesi per secoli ed esso non conteneva elementi di combattimento fino a che, molto tempo dopo, vennero adottati dagli eremiti di Shaolin.
Le applicazioni del saamchien vengono praticate a coppie ed impiegano efficacemente tecniche di deflessione, intrappolamento, bloccaggio, torsione delle articolazioni, proiezione, colpi con la base del palmo e colpi penetranti (diretti a vari punti vitali).
Come conseguenza della sua trasmissione al tempio leggendario di Shaolin, le applicazioni di autodifesa del saamchien variano da scuola a scuola. Tradotto in inglese, saamchien (rappresentato da due ideogrammi cinesi) significa letteralmente “tre e guerra o battaglia” che, nel contesto delle tradizioni combattive, esemplifica il conflitto interiore e l’importanza dell’equilibrio tra gli elementi mentale, fisico e spirituale. Tuttavia, da un punto di vista più pratico, quando praticato correttamente, saamchien coltiva l’equilibrio interiore ed è stato utilizzato per generazioni quale veicolo per questo scopo. Saamchien insegna come rispondere trascendendo il pensiero intenzionale.
Happoren, esempio perfetto dei principi del saamchien interamente descritto nel Bubishi, illustra l’esatta postura, movimento, flessibilità muscolare e uso del respiro utilizzati nello sviluppo del saamchien.
Inoltre il saamchien costituisce la base di quasi tutti gli stili del gongfu del Fujian.
A Fuzhou i maestri di wushu mi hanno chiesto molte volte perché quelli che dimostrano il kata sanchin e altri del goju ryu rimangono così inflessibili durante tutta l’esecuzione. Ho spiegato che la ragione risiede nel fatto che il quan (kata) praticato in questo modo e introdotto nella madrepatria giapponese all’inizio del 1920 è stato profondamente influenzato dalle forze inflessibili del Giappone; il karate è giapponese e non è più gongfu cinese.
Molti maestri ridevano dicendo che il kata praticato in questo modo non solo è dannoso per la salute ma è contrario alle leggi naturali del movimento: rimanere così rigidi inibisce una risposta naturale e per questo riduce l’efficacia dell’esecuzione nel suo complesso. Ironicamente ho sentito appassionati di karate affermare che la flessibilità dimostrata dai praticanti di gongfu inibisce la forza necessaria a soggiogare un attacco!
In diverse occasioni a Fuzhou, durante le dimostrazioni di importanti maestri okinawensi/giapponesi o stranieri ricordo osservazioni sulla forza fisica dei dimostranti e sulla contestuale assenza di conoscenza nell’uso del loro corpo.
Ricordo anche uno dei dimostranti stranieri che aveva iniziato uno scontro a spinte con uno dei maestri cinesi per dimostrare di essere più bravo o che quel che faceva era più efficace, cosa che ho trovato davvero disdicevole. Come ho già detto e ripeto ancora adesso, se il karate fosse solo combattimento, allora metà del ghetto di Harlem sarebbe popolato da grandi maestri con il decimo dan!
Il saamchien è un veicolo per lo sviluppo personale e l’auto miglioramento, il combattimento è per persone incivili con problemi comportamentali.
Riguardo alla domanda su Shorinryu/Shoreiryu: Shorin rappresenta la pronuncia giapponese degli ideogrammi cinesi usati per scrivere Shaolin (come nel Tempio di Shaolin) ed il suffisso ryu, come probabilmente sai, fa riferimento a scuola o specifica tradizione. Shorei è invece la pronuncia giapponese del nome di un tempio del sud che si ritiene fosse situato sul Jiulian Shan (montagna dei nove loti) nella provincia del Fujian chiamato Shalian in cinese. Tuttavia è possibile che Shorei sia solo una pronuncia errata di Shaolin o ancora di quel che doveva essere Wudang.
In uno scritto del 1908 indirizzato al Mombusho (Ministro dell’Educazione), Itosu Anko scrisse che il Toudijutsu era l’evoluzione di due fonti completamente diverse: Shorinryu (Shaolin quanfa) e Shoreiryu. Tuttavia c’è ragione per credere che questa affermazione non rappresenti realmente l’evoluzione del karate.
Non ci sono altre testimonianze antecedenti all’affermazione di Itosu atte a convalidare le sue ipotesi. Sebbene questo sia oggetto di intensa curiosità, pare non si sia mai stato un posto come il tempio Shorei e nessuno a Fuzhou ne ha mai sentito parlare. Tuttavia è possibile che ci sia stato un tempio sulle cime del Wudang dato che il gongfu proviene prevalentemente da pratiche sviluppate a Shaolin e Wudang.
La storia delle tradizioni di autodifesa di Okinawa è stata protetta da ferrei rituali di segretezza per generazioni. Dato che è stata trasmessa oralmente molto è andato perso a causa della mancanza di note scritte, inoltre l’analfabetismo unito a problemi di pronuncia tra il cinese (specialmente tra il cinese mandarino e i dialetti del Fujian), l’Hogan (dialetto di Okinawa) e la lingua giapponese hanno ulteriormente complicato la situazione. In pratica tale storia, essendo basata unicamente su racconti orali, riporta un’interminabile quantità di fraintendimenti divenuti ormai tradizione popolare.