Breve storia del Karate – sesta parte

Breve storia del Karate - sesta parte

Il Karate diventa arte del Budo giapponese

di Marco Forti

Con l’autorizzazione pervenuta dal Ministero dell’Educazione all’inserimento del Tode nel curriculum scolastico di Okinawa, l’arte suscitò l’interesse del Dai Nippon Butoku Kai (DNBK), in particolare grazie al resoconto entusiastico di un suo membro – l’ufficiale della marina imperiale Yashiro Rokuro – che aveva assistito, nel 1912, alla pratica del Tode mentre la sua nave si trovava ormeggiata ad Okinawa per alcune manovre.

In seguito a tale racconto il Dai Nippon Butoku Kai presentò formale richiesta alla rappresentanza Okinawense del Ministero dell’Educazione perché venisse organizzata una dimostrazione dedicata ai soli membri dell’associazione.

Sebbene si debba ad Anko Itosu la modifica dell’arte marziale di Okinawa per renderla accessibile ad un pubblico più ampio, fu la generazione successiva di maestri – in particolare Gichin Funakoshi, Choki Motobu, Kanbun Uechi, Chojun Miyagi, Kenwa Mabuni e Shinken Gima – ad introdurla in Giappone.

La prima dimostrazione ufficiale in terra giapponese – guidata da un allievo di Itosu, Gichin Funakoshi – avvenne al Butokuden di Kyoto nel 1917.

Il karate però non aveva uniformi, non esistevano competizioni, non vi erano metodi formali di insegnamento e neppure un sistema di graduazione.

In breve … non era giapponese!

Come altre tradizioni assorbite dalla cultura giapponese nel corso della storia, era destinato a venire ulteriormente modificato per “diventare più giapponese”.

E questa volta a richiedere queste variazioni sarebbe stato il DNBK.

Nel 1921, il Principe ereditario Hirohito (futuro imperatore Showa), in viaggio verso l’Europa, si fermò a Okinawa. Fu un avvenimento eccezionale. Anche in questa occasione Funakoshi venne incaricato di dirigere una dimostrazione di karate fatta dagli studenti.

Nel 1922, un anno dopo questo avvenimento, a Kyoto venne organizzata una dimostrazione nazionale di educazione fisica, e – ancora una volta – Gichin Funakoshi ebbe il compito di presentare il karate di Okinawa.

Egli pensava di ritornare a Okinawa subito dopo la dimostrazione ma il fondatore del judo, Jigoro Kano, che tra l’altro ricopriva importanti funzioni al ministero dell’Educazione, lo invitò a tenere una presentazione del karate nel suo dojo a Tokyo: il Kodokan.

Accettando la sua richiesta, Funakoshi aveva pensato di prolungare il suo soggiorno di qualche giorno soltanto. Ma, in seguito agli incoraggiamenti ricevuti da J. Kano dopo questa dimostrazione, decise di restare a Tokyo per diffondervi l’arte del suo paese.

In quest’epoca, la popolazione di Okinawa aspirava ad affermare la propria identità culturale e nazionale giapponese; Funakoshi non faceva eccezione, e la sua passione per la diffusione del karate era una manifestazione di questa volontà collettiva.

La dimostrazione al Kodokan ebbe luogo il 17 maggio 1922.

Consigliato da Kano, Funakoshi iniziò quindi a “nipponizzare” il karate cambiando i nomi dei kata che erano in origine trasmessi oralmente e provenivano da un mix tra la lingua cinese e dialetto hogan.

I nuovi termini erano adattati alla lingua giapponese.

Anche l’adozione del dōgi, l’uniforme bianca oggi di uso comune trova le sue origini nel judo.

Ad Okinawa il tode veniva praticato con gli abiti di uso comune.
Spesso, anche a causa del clima caldo, si praticava a torso nudo e pantaloncini corti.

Il primo dōgi venne prestato a Funakoshi proprio per la sua esibizione al Kodokan. In seguito venne adattato alla pratica del karate utilizzando tessuti più leggeri.

Se si pensa che solo due decenni prima il karate era un’arte segreta, l’uso di un’uniforme evidenziava il fatto che ora voleva essere vista e riconosciuta.

Jigoro Kano fu il primo ad introdurre il sistema delle cinture in un’arte marziale.

Divise gli studenti in due gruppi: gli yudansha ed i mudansha.

I primi erano gli allievi avanzati che portavano la cintura nera (gradi dan). I secondi erano i principianti che portavano la cintura bianca (gradi kyu).

Si trattava anche di un sistema motivazionale che venne presto adottato anche da altre arti marziali.

Funakoshi, consigliato da Kano su come diffondere il karate, adottò il medesimo sistema di graduazione con le cinture bianche e nere (le cinture colorate vennero introdotte solo in seguito, negli anni ‘50 nel judo e negli anni ‘60 nel karate).

Nell’aprile del 1924 Funakoshi conferì per la prima volta il grado di primo dan a sette persone: Tokuda, Otsuka (che in futuro avrebbe fondato lo stile wado ryu), Gima, Kasuya, Akiba, Shimizu e Hirose.

In seguito anche gli altri maestri seguirono l’esempio di Funakoshi e il sistema dei gradi kyu e dan venne adottato ufficialmente.

In questo periodo il Karate subì un’altra pesante “mutilazione”.

Fino agli anni trenta nella pratica del Karate circa un terzo era rappresentato da tecniche di proiezione e controllo articolare.

Allo stesso modo circa un terzo della pratica del Judo consisteva in atemi (Kano aveva vietato l’uso degli atemi nella pratica del randori e ne aveva previsto lo studio solo nei kata perché considerati troppo pericolosi).

Nel 1931 Jigoro Kano trasmise al Ministero dell’Educazione un rapporto intitolato «Karate come parte del Judo»(1) volto ad integrare il Karate.

Al fine di mantenere una propria identità, l’arte di Okinawa si orientò verso le tecniche di pugno, calcio e parata rinunciando a buona parte del suo repertorio classico, proprio al fine di enfatizzare la sua differenza dal Judo.

Sebbene l’idea di cambiare nome al Tode non venne imposto dal DNBK, la stessa associazione era fortemente a favore di tale cambiamento.

In quel periodo infatti in Giappone era diffusa una forte xenofobia ed un crescente militarismo.

In quei giorni qualsiasi cosa straniera era discriminata, in particolare se di origine cinese.

Anche il Karate subì forti critiche a causa del proprio nome, il cui significato – visti i kanji usati per scriverlo – era appunto “mano cinese”.

Diveniva fondamentale, perché il karate venisse totalmente accettato in Giappone, tagliare qualsiasi riferimento alla Cina.

Così, all’inizio degli anni trenta il carattere usato per scrivere la prima parte del nome “kara“: 唐 che significava, appunto, cinese venne rimpiazzato da 空 avente medesimo suono ma col significato di vuoto.
Anche se Chomo Hanashiro usò i caratteri per “mano vuota” già nel suo libro “Karate Kumite” del 1905, l’uso divenne comune solo durante gli anni trenta quando il karate stava per essere accettato come forma di budo.

Si deve invece al DNBK l’introduzione del suffisso 道 “dō” (via) al posto di 術 “jutsu” (tecnica) a rafforzare il significato di arte per “coltivare lo spirito”.

Fu ancora il judo, derivato dal jujitsu, la prima arte ad adottare tale suffisso, seguito da molte altre arti modificate a partire dall’epoca Meiji.

Prima di essere completamente accettato dal DNBK tra le discipline del Budo, il karate doveva adattarsi all’immagine del suo prototipo, il judo.

Il DNBK desiderava in tal modo evidenziare la promozione di uno “spirito marziale” che formava la base del puro spirito giapponese.

Le richieste del DNBK che si incentravano sulla necessità che il Karate sviluppasse un curriculum di insegnamento uniforme differenziandosi dalle proprie origini cinesi, che adottasse un’uniforme standard di allenamento, che assegnasse un sistema di graduazione, che sviluppasse un sistema di competizioni e che riducesse ulteriormente gli aspetti più violenti ancora presenti nella pratica, erano state quasi completamente esaudite (mancava ancora un sistema di competizioni cui però Funakoshi si oppose fermamente e che avrebbe tardato ancora un paio di decenni prima di affermarsi).

Nel dicembre del 1933 il Dai Nippon Butoku Kai ratificò il riconoscimento del Karate-do (la Via della Mano Vuota) come Arte del Budo Giapponese.

Il nuovo termine “karate-do” – formalmente riconosciuto in Giappone dal DNBK – non venne subito accettato ufficialmente ad Okinawa fino a quando, nel 1936(2) e dopo forti resistenze, una riunione dei più importanti maestri dell’arte, ne sancì l’accettazione.

I più illustri maestri dell’epoca, Chojun Miyagi, Chotoku Kyan, Chomo Hanashiro, Kentsu Yabu, Shimpan Shiroma, Choki Motobu, Chosin Chibana, concordarono sulla necessità del cambiamento. Per raggiungere la popolarità ed allargare la conoscenza del karate il cambiamento era necessario, i tempi lo imponevano.

Infatti, anche se la guerra con la Cina era stata archiviata, gli scenari internazionali erano torbidi e la Seconda Guerra Mondiale sarebbe scoppiata di lì a poco. Al Giappone serviva una arte marziale completamente integrata nel suo sistema ideologico. Il karate era ormai divenuto “mano vuota”.

 

– FINE SESTA PARTE –

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NOTE

(1) Gennosuke Higaki – Hidden Karate – Champ – Tokyo 2006 – pag. 27

(2) Patrick McCarthy – “The 1936 Meeting of Okinawan Karate Masters.” in Ancient Okinawan Martial Arts – Volume Two – Tuttle Pubblications, Boston 1999. pagg. 57-69.

 


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