La teoria del Matsuyama Koen – seconda e ultima parte

La teoria del Matsuyama Koen - seconda e ultima parte

di Patrick McCarthy
traduzione di Marco Forti

SECONDA E ULTIMA PARTE
(la prima parte è raggiungibile cliccando qui!)

Le radici del Karate ad Okinawa?
Se utilizziamo genericamente il termine Karate per identificare le arti di combattimento a mani nude in generale e concordiamo sul fatto che le radici risalgano alla Cina, allora ci sono tutte le ragioni per credere che tali arti siano state insegnate sin dal momento in cui i Cinesi arrivarono nel Regno delle Ryukyu, alla fine del quattordicesimo secolo.

Principali pionieri?
Mi hai chiesto anche informazioni sui pionieri dell’arte e sulla loro influenza. Essendo uno storico appassionato e avendo avuto la fortuna di lavorare a molte traduzioni storiche importanti (il Bubishi e le opere di Matsumura Sokon, Itosu Anko, Funakoshi Gichin, Motobu Choki, Miyagi Chojun, Nagamine Shoshin, ecc…), oltre ai nomi appena indicati, fornisco un elenco di persone citate (senza un ordine particolare) nelle opere cui ho lavorato: Makabe Choken, Teruya Kanga [conosciuto anche come Toudi Sakugawa], Matsumura Sokon (1809-1899), Itosu Anko (1832-1916), Aragaki Seisho (1840-1920), Kuwae Ryosei (1858-1939), Yabu Kentsu (1866-1937), Funakoshi Gichin (1868-1957), Hanashiro Chomo (1869-1945), Kiyan Chotoku (1870-1945), Azato (1827-1906), Kiyuna Peichin (1845-1920), Sakiyama (1833-1918), Matsumora Kosaku (1829 – 1898), Uku Giko (1800-1850), Teruya Kishin (1804-1864), Motobu Choyu (1865-1929), Yamazato Giki (1866-1946), Kuba Koho (1870-1942), Iha Kotatsu (1873-1928), Chibana Choshin, Nagahama Chikudon Pechin, Oshiro Chojo (1888-1939), Tokuda Anbun (1886-1945), Mabuni Kenwa (1889-1953), Gusukuma Shinpan (1890-1954), Kudeken Kenyu, Kiyoda Juhatsu (1887-1968), Miyagi Chojun (1888-1953), Kudaka Kori, Motobu Choki, Aragaki Ankichi, Akata-no-Okuda, Yamakawa-no-Matsugen, Sadoyama-Oyakata Aza Tanmei, Meiguwa-Matsumura, Matsumura-Tozo-no-Omura, Akahira-no-Ishimine, Kanagusuku (Kinjo), Tokumine Nakijin-Guwa, Kanagusuku-no-Ota, Hokama Pechin, Tomigusuku (Tomishiro) Oyakata, Kubagawa-no-Ogusuku, Oyadomari, Nakasone Urasaki, Torikobori-no-Tekken Kanagusuku, Tawada, Onaka-no-Kanna, Tomiyama-mawashi-no-Uehara Ko-Guwa, Uchishiraji-No-Yabiku-Guwa Soishi, Izumisaki-no-Sakiyama, Uchishiraji Magyokubashi, Gushi Pechin, Awaren, Miyazato-Guwa, Higashi-no-uemon-dono no Shimabukuro, Kunen Boya-no-Higa, Nishi-no-Nagahama, Kume-no-Kojo-Guwa Maezato, Tomari no Gusukuma Kanagusuku, Chinen Shikiyanaka, Tsuken Hanta-Guwa, Kohazo Miyahaira, Sashiki no Yabikunushi, Tekken Miyagusuku, Mabuji Aji, Koroku Aji, Nishi no Higaonnna-Guwa, Higashi no Higaonna, Wakita no Ajama no Shimabukuro, Kumoji-no-Arakaki-Guwa, Tomari no Azato no Yamada, Onaka no Kiyuna Tomiyama, Momohara no Higashikazahira Oyakata, Torikobori no Kuwae, Kanagusuku (Kinjo) no Yamaguchi, Yamane no Chinen, Tomishiro Oyakata, Nagahama Tomoyori Gushi Peichin, Gibo no Ishimine, Maezato Kojo Guwa, Kunen Boya no Hikashi no Higaonna.

Parti di un tutto più ampio
Nonostante le divisioni apparentemente sconfinate tra le varie interpretazioni del Karate attuale, è importante comprendere che quando l’arte venne originariamente introdotta dalla piccola isola rurale di Okinawa alla madrepatria giapponese all’inizio degli anni venti del secolo scorso, non era nulla più che un insieme casuale di pratiche “a solo” sovraritualizzate; il punto è che non rappresentava l’arte nella sua interezza ma piuttosto una parte di un tutto più ampio. Ecco come vedo le singole parti di un tutto più ampio:
Tegumi (手組) era originariamente una forma di lotta le cui origini si fanno risalire ai tempi di Tametomo (11° secolo). Si ritiene che questa disciplina derivi dalla lotta cinese (Jiao Li/角力 da cui poi si sviluppò lo Shuai Jiao/摔角 – nuovo nome fissato nel 1928] e sia evoluta nella forma unica di lotta prima di diventare uno sport regolamentato conosciuto come Sumo delle Ryukyu o Sumo di Okinawa.
Torite (Chin Na/Qinna/擒拿in cinese Mandarino) è il metodo cinese di derivazione Shaolin finalizzato all’afferrare e trattenere un avversario. Un tempo utilizzato vigorosamente dagli ufficiali delle forze dell’ordine, delle forze di sicurezza e dagli ufficiali carcerari durante il periodo dell’antico Regno delle Ryukyu, la parte a solo tratta da queste pratiche può essere ritrovata nei Kata.
Kata (Hsing/Xing 型/形in cinese Mandarino), vigorosamente coltivati localmente durante il periodo dell’antico Regno delle Ryukyu, sono sequenze di combattimento a solo che fanno risalire le loro origini al quanfa (拳法) cinese del Fujian, in particolare alla boxe della Gru Yongchun, al Pugno del Monaco e agli stili del sud della Mantide Religiosa. Usati come forma di movimento umano e sistema di allenamento personale, raggiunsero la popolarità presso i Cinesi come metodo per promuovere la prestanza fisica, il condizionamento mentale ed il benessere in senso olistico.
Ti’gwa (手小) era la forma di impatto percussivo in uso ad Okinawa, conosciuta anche come “Te”, “Ti”, “Di” (手, il cui significato letterale è mano/mani) o, ancora come “Okinawate” o “Uchinadi”. Arte legata principalmente all’uso del pugno chiuso per colpire l’avversario (in contrasto con il metodo a mani aperte preferito dai Cinesi, secondo quanto riportato sia da Kyan Chotoku che da Miyagi Chojun), per quanto venissero usati come armi anatomiche di uso frequente anche la testa, i piedi, le tibie, i gomiti e le ginocchia.

JE: Così oggi abbiamo forum online, allenamenti organizzati, grandi federazioni, blog, competizioni, ecc… per chiunque desideri condividere, imparare ed impartire conoscenza sul Karate in modo semplice … ma la situazione non era certo questa quando il Karate “nacque” ad Okinawa. Sappiamo che il Karate si diffuse in Giappone e, in seguito, nel resto del mondo, ma all’inizio, come si propagò all’interno della comunità Okinawense? Per certo dovevano avere un sistema di comunicazione. Disponevano di una qualche piattaforma per condividere informazioni?

PM: Principalmente, durante il periodo dell’antico Regno delle Ryukyu, l’arte di autodifesa veniva insegnata ed appresa in relativa segretezza. Come regola veniva trasmessa da padre a figlio oppure da qualcuno scelto dalla famiglia per conoscenza, rispetto e fiducia, attraverso raccomandazioni o su invito (ad esempio dallo zio, dal nonno, da un vicino, ecc…). Allora pare fosse usanza trasmettere gli insegnamenti solo al primogenito (anche se non ho la certezza di quanto questa usanza fosse effettivamente seguita). È importante capire che l’arte non era ben conosciuta né ricercata con entusiasmo come ai giorni nostri. Infatti, per quanto ritenga che la maggior parte della popolazione non ne avesse nemmeno sentito parlare e non conoscesse gli esperti che vivevano nel loro stesso quartiere, l’idea che potesse essere insegnata pubblicamente, o anche all’esterno della ristretta cerchia familiare, appariva insolita. L’arte del Karate così come la conosciamo oggi, semplicemente non era conosciuta a quei tempi. Lasciami ripetere qualcosa che il mio insegnate novantaquattrenne di Okinawa, Kinjo Hiroshi (largamente rispettato in Giappone come uno dei maggiori storici del Karate), mi ha raccontato negli anni riguardo all’arte. Diceva spesso: “Nessuno fu più sorpreso degli stessi abitanti di Okinawa nel vedere il Karate diventare il fenomeno mondiale che è oggi … è semplicemente incredibile”.

JE: Mi lasci arrivare al punto direttamente: Quindi quello che sta dicendo è che le persone che posero le basi del Karate di vecchia scuola erano … di mentalità aperta? Condividere apertamente le conoscenze e discutere tra loro in pubblico sulle tecniche delle arti marziali, sui metodi di allenamento, su idee ed esercizi? Cosa è successo a questo tipo di mentalità? Ha qualcosa a che fare con la successiva “giapponesizzazione” del Karate (nel Karate-do: La “Via” del Karate)?

PM: Se mi stai chiedendo se in passato gli abitanti di Okinawa organizzassero normalmente seminari aperti invitando istruttori sconosciuti di diverse arti marziali per approfittare di momenti di cross-training la mia risposta è no! Se invece mi chiedi se era diffuso il fatto che “colleghi” (dohai/同輩) condividessero le loro conoscenze e/o istruttori raccomandassero ai loro allievi di andare ad acquisire specifiche competenze o a studiare con un altro maestro, specie dopo averli portati più avanti che potevano, allora la risposta è sì, perché questo modo di agire era comune in passato. Le persone dalla mentalità ottusa e sovraprotettiva così diffuse oggi sono strettamente collegate alla visione affaristica della tradizione. È tutto collegato alla predilezione per l’esclusività, il controllo ed il profitto. Per quanto i giapponesi non possiedano certo il monopolio di tale atteggiamento mentale e relative insicurezze, di certo vi hanno qualcosa a che fare; molti puntano il dito accusatore contro la JKA per aver creato un precedente nel concetto associato al credere che uno stile specifico fosse superiore ad un altro. La tradizione non è mai stata intesa come seguire ciecamente gli uomini del passato, conservandone le ceneri in un’urna ma piuttosto nel mantenere viva la fiamma del loro spirito e nel continuare a ricercare quello che essi cercarono nello sforzo di mantenere l’arte viva e funzionale. Questo è il vero messaggio dei pionieri.

Matsuyama Koen
Il Matsuyama Koen

JE: Tornando al Matsuyama Koen, questa teoria spiega molto riguardo al Karate in generale e ai Kata nello specifico, giusto? Infatti tale teoria chiarisce il perché gli stessi schemi di movimento, modelli di autodifesa (o bunkai se preferisce) appaiano frequentemente in diversi kata, come se i kata fossero qualcosa “collegato” a ritroso. Intendo dire: se si prende un kata e se ne modifica leggermente lo schema, si cambia un po’ la linea di esecuzione (enbusen), si personalizza qualche piccolo dettaglio, insomma si cambia il kata solo superficialmente, si mantengono ancora intatte tutte le principali idee e finalità di ogni serie di movimenti. In fondo i kata non sono quindi una collezione degli stessi vecchi modelli difensivi?
Il collegamento alla sua teoria sugli atti di violenza fisica abituale si fa interessante, vero?

PM: C’è un’eco qui? 😉

JE: Aspetti … tanto per chiarire: questa è una delle ragioni principali per cui esistono così tante versioni dello stesso kata? Intendo dire, se guardiamo oltre le numerose (e ovviamente moderne) versioni da competizione è così.

PM: Questo è un argomento che ci deve far pensare. Immagina di essere parte di una cultura conformista, dove si pone una grande enfasi sulla tradizione, sulla pietà filiale, dove non si mettono in discussione le autorità e la tranquillità comune. Qualche insegnamento “antico” ti è stato trasmesso da una figura autoritaria e ti è stato detto che non lo devi assolutamente cambiare e che il suo significato diventerà intuitivamente ovvio con il tempo e la pratica. Non conosci le premesse contestuali (cioè gli atti di violenza fisica abituale) sulla base delle quali condurre un’analisi che sai essere legata al combattimento ma tu sei inserito in un ambiente regolamentato, con avversari compiacenti nonostante tu sia spinto al confronto in sessioni di sparring (finto combattimento). La norma accettata è quella di applicare qualsiasi cosa ad un pugno opposto e/o ad un calcio diretto! Capisci? Ok, tieni in mente questo per un momento. Adesso ti chiedo di considerare la fonte da cui derivano i cosiddetti “insegnamenti antichi”. Per fare questo esercizio posso chiederti di pensare ai diversi “esperti”, istruttori, cinture nere ed altri appassionati che conosci ed al loro livello di esperienza, comprensione e competenza. Ti chiedo inoltre di pensare da chi e in quali circostanze e per quanto tempo hanno appreso quello che sanno… Mi chiedo se stai cominciando a vedere quello che intendo dire? Ora torniamo un momento all’argomento originario del cercare di immaginare perché abbiamo così tante versioni dello stesso kata ed afferrarne la natura. È abbastanza semplice, non trovi?

JE: Wow. Ok, allora ora che abbiamo analizzato tutto, c’è qualche ovvia conclusione che chiunque possegga un cervello funzionante può trarre da quello che ha affermato sopra: non si troverà mai un kata “originale” di Karate in Cina. Non si troverà mai il gemello segreto di kata famosi di Karate come Bassai, Kushanku, Seisan o Suparinpei nascosti in qualche antico villaggio cinese. Nonostante questo molti famosi ricercatori (per qualche ragione mi viene in mente il Goju-ryu) insistono nel continuare ad andare in Cina, in cerca del “Sacro Graal” del Karate, cercando disperatamente di trovare un maestro sifu (sensei) che conosca uno hsing/xing/quan (kata) che sembri esattamente quello praticato nel loro karate! Ma la teoria del Matsuyama Koen afferma in pratica che stanno gettando via tempo e soldi, giusto?

PM: Beh, non sono certo che sia vero al 100% perché niente è così appagante come fare un viaggio alla fonte. L’esperienza di essere lì di persona, con l’abilità di essere in grado di comunicare (come comunichi nella tua lingua) con autorità locali, ed approfittare di cross-training con differenti stili dona meravigliosi spunti penetranti … specialmente quando sai cosa cercare (ed hai occhi per vedere). Come ho già accennato prima nel corso di questa intervista, puoi ancora trovare stili del Sud che usano pratiche simili al Sanchin e molte sequenze a solo identiche a quelle comunemente visibili nei kata del Karate di Okinawa. Devi anche sapere che un’altra teoria afferma che gli stili di quanfa cinese del Fujian, progenitori dei kata ancestrali del Karate di Okinawa di vecchia scuola, oggi non esistano più, si siano evoluti o siano stati soppiantati da altri stili.

JE: Per me la teoria del Matsuyama Koen, insieme alla sua ormai famosa teoria degli atti abituali di violenza fisica (e naturalmente alla meno conosciuta “Osservazioni sui Kata in dieci punti di McCarthy”) collega e fornisce una chiara e vivida immagine dell’intera teoria e della storia sottostanti all’enigma del Karate e alla sua precedente “imperscrutabile” evoluzione. Se si aggiunge tutto questo alla quantità folle di articoli straordinari sul Karate (sì, ogni singolo articolo) e alla moltitudine di libri illuminanti e traduzioni originali susseguitesi negli anni, allora il Karate inizia ad apparire un po’ più … comprensibile.

PM: Sì ma cosa posso saperne io … che non sono di Okinawa? 😉

Quando penso all’enigma che ammanta il Karate e a come doveva essere compreso mi ricordo un proverbio cinese associato al suo studio:

上山的路有很多,但风景都是一样的
shàngshān de lù yǒu hěnduō, dàn fēngjǐng dōu shì yīyàng de
(Molti sono i sentieri che portano alla cima della montagna, ma la vista è sempre la stessa)

Un messaggio senza tempo suggerisce che, indipendentemente dal percorso seguito, la destinazione sia la stessa per ciascuno di noi … e ancora, giudicando dalla propaganda politica che porta uno stile contro l’altro, sembra che l’imparzialità abbia abbandonato alcuni di noi. Indipendentemente dallo stile, il Karate è un percorso! È una forma di espressione fisica, un meccanismo finalizzato a comprendere se stessi, la vita e il mondo in cui viviamo. Secondo la mia opinione i temi concettuali di quest’arte trascendono la cultura, la razza, il genere ed il tempo. Collegandolo al proverbiale “percorso”, dipende da quanto lontano si è giunti sul cammino perché prima o poi appaia evidente come lo scopo non sia il giungere a destinazione, ma il viaggio stesso!

JE: per concludere, ha qualche ultimo pensiero sulla teoria del Matsuyama Koen in generale oppure su malintesi diffusi sul Karate nello specifico (che so cerca nel suo lavoro di chiarire ogni giorno) di cui più persone dovrebbero essere portate a conoscenza?

PM: Sì, ma forse li lasceremo per il progetto del tuo prossimo libro…

Patrick McCarthy

 


 

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